In aeroporto, al controllo, sono passata attraverso la porta del metal detector ed è suonato l’allarme.

Ma è impossibile, mi dico, non ho niente di metallico.

Un tipo mi si avvicina e mi fa cenno di spostarmi da un lato, prende una strisciolina di carta (come quelle per depilare i baffetti) e me la passa delicatamente su una guancia, poi sull’altra.

Mah.

Mi fa cenno di aprire le mani e mi passa la stessa strisciolina sul palmo delle mani e poi mi fa girare le mani e mi passa la strisciolina sul dorso. Non riuscivo a capire di cosa si trattasse. Un rilevatore di cosa? Cos’avevano dentro quelle striscione di carta che potessero rivelare di me qualcosa che nemmeno io sospettavo di avere?

Mentre mi infilavo le scarpe, ho chiesto a un’addetta.

Mi ha risposto con gentilezza, di non preoccuparmi, non avevo fatto niente, non ero sospetta, È un allarme random, mi ha detto.

Un campionamento. Di tanto in tanto, ogni tot viaggiatori, suona l’allarme e dobbiamo fare i rilevamenti.
Di cosa? chiedo.
Polvere.

Quella strisciolina doveva rilevare la polvere sulle mie guance e sulle mie mani. Di colpo mi era piaciuta tantissimo, quella cosa di passare le striscioline di carta sulle guance di qualcuno scelto a caso, perché quel gesto, così innocuo, semplice, mi ricordava i bambini che giocano al dottore.

Prelevare il sangue con una pompetta gialla, fare la puntura con un’enorme siringa senza ago, disinfettare col cotone asciutto e fingere di mettere un cerotto sulla puntura.

Mi piacciono le cose con un forte valore simbolico che si avvicinano al niente.

Come i gesti che compiono le hostess quando simulano meccanicamente con le mani cosa devi fare nel caso che l’aereo cada.

Cercavo di seguirle, per capire, cercavo di prendere nota mentalmente di tutto quello che le loro mani mi dicevano: Ah ecco, mi dicevo, dunque, il tubo della mascherina dell’ossigeno scenderà di qua, poi bisognerà tirare bene il laccetto per stringere la maschera e poi, in caso di ammaraggio, quella sarà l’uscita più vicina.

Ma non c’era modo di collegare la faccia dell’hostess con quello che le sue mani stavano dicendo. Nessuna relazione.

Le sue mani parlano di un’ipotetica tragedia, la sua faccia, tutta l sua faccia, masticava un enorme chewingum. È la prassi. Il protocollo.

Questo concepire la realtà, come una cosa che si può monitorare, che si può prevedere e tenere sotto controllo grazie a dei semplici gesti, senza doverci pensare.

Senza percepirne la vertigine.

È strano, ma anche bello, essere dei campioni, dei campioncini minuscoli, non rappresentativi in sé, ma pur sempre rappresentativi, statisticamente rappresentativi, fa sentire meno ingombranti, meno grevi.

Qualcuno che c’è ma potrebbe essere anche qualcun altro o nessuno, ma pur sempre con la sua polvere, col suo cerotto, con la sua uscita di sicurezza.