Non ho voglia di parlare di miracoli.

Invece devi farlo. Facile parlare di miracoli quando c’è la neve, quando tuo fratello ti prenota il treno, quando il tetto non crolla e trovi i finali e non c’è nemmeno la guerra.

Non vedo miracoli.

Cerca bene.
Sono stanca.
Fatti la doccia.
Sono dissipata.
Cammina un po’.
Sono disperata.
Non hai altra scelta, è il tuo lavoro.
Mi licenzio.
Non puoi licenziarti, non ti hanno mai assunta.

Orfeo va a prendere Euridice, vieni, le spiffera, le dà la mano e la tira e camminano un po’. Ad un certo punto Euridice si ferma, come un mulo, non si muove più.

Orfeo dice Non farti tirare, non posso guardarti, manca pochissimo siamo quasi fuori e dopo ci baciamo.
Ma Euridice niente, anzi, si siede e si abbraccia le ginocchia.
Allora Orfeo si siede anche lui e si parlano così, schiena contro schiena.
Euridice, io sono venuto a prenderti non è una cosa semplice, vediamo di non fare anche qui una discussione.
Euridice tace.
Cosa c’è?
Niente.
Perché piangi?
Non posso venire.
Perché?
Mi sono abituata qui.
Sono venuto a prenderti, ho rischiato la vita.
Hai fatto una cosa bellissima, ti ringrazio.
Allora?
Allora niente, resto.
Non ti importa di me, che figura ci faccio? Esco e tutti sanno che tu non ci sei, che sono venuto a salvarti e tu non hai voluto.
Trova una scusa.
Quale.
Puoi dire che all’ultimo momento ti sei voltato, mi sono dissolta.
Ma non è la verità.
È come la verità, nessuno troverà niente da ridire.
Ma io so che le cose non sono così.
Te ne farai una ragione.
Non voglio farmene una ragione.
Te la farai lo stesso.
No. Non vorrò mai più un’altra donna, diventerò pazzo e mi decapiteranno e giocheranno a palla con la mia testa.
Non è un problema mio.
È cattivo quello che dici.
Lo so. Mi dispiace.
Tu sei abbastanza stronza, Euridice, te l’ha mai detto nessuno?
Certe volte, sì.
Ma io ti amavo lo stesso, perché eri bella.
Eh.
Eh cosa?
Lo so.
Cosa sai?
Che ero bella.
Anche dire questo amore mio, non è elegante.
Lo so, è così.

Allora Orfeo affonda le dita nella terra e ne prende un po’, se la stringe nella mano. Gli viene da piangere ma si trattiene, perché è molto, molto arrabbiato.

E dice Allora ciao, non ho altro da dirti.

E spera che lei dica Non te ne andare da solo, vengo anch’io.

Ma lei ormai è impegnata nella sua voglia di solitudine e autodeterminazione.

Ciao, risponde dunque Euridice, e sembra che non gliene freghi niente. Anzi, per meglio dire: in quel momento non gliene frega davvero niente, nemmeno di sentire la schiena di lui contro la sua, nemmeno di tutte le cose che lui potrebbe dirle per farle cambiare idea e che, per fortuna, non le dice.
Orfeo se ne torna nel mondo dei vivi, e diventa pazzo e tutto quello che le aveva predetto, diventa vero.

Euridice sente i passi che si allontanano e poi non li sente più e pensa: quindi adesso? E si rende conto che ha tirato troppo la corda. Corre verso l’uscita, lo chiama, ma troppo tardi, la porta è chiusa.

E questa è la storia di questo tipo di miracoli, i miracoli a portata di mano, che però, mentre sei lì non ti sembrano miracoli, te ne accorgi dopo e lasciano addosso un segno di assenza che non si cancella, come una cicatrice di una medusa.