Venerdì.

Valentina Diana.

Pezzettini.

Nessun bisogno di aggiungere altro, solo di leggere con attenzione.

Io mi rendo conto di essere una disadattata,

non so quasi mai dove mi trovo nel panorama internazionale,

non capisco le dinamiche e mi sfuggono i macrosistemi.

Quando mi si presenta l’idea di una sistemazione, una sistemazione qualsiasi, una sistemazione, l’idea stessa di una sistemazione mi fa sentire inadeguata, come se il mio corpo non volesse conformarsi alla scatola predisposta per l’avventura assegnata.

Io non ho uno sguardo lungimirante e il futuro mi sembra un’ipotesi troppo lontana per costruirci sponde.

Sono una disadattata che scava un buco tutte le mattine.

Credo ai tesori sotterranei, perciò scavo, continuo a farlo anche se non ne ho mai trovati.

I tesori me li racconto da sola, a forma di bene e chiari, a forma di sorpresa o di profumi di cose che non esisteranno mai più.

Il mio essere disadattata mi salva dal rivendicare troppo, giustizia, equità, longevità.

Penso al mio lasciare orme nella neve con le scarpe enormi di mio figlio.

I miei piedi da yeti inutile, nel mattino ancora incerto.

Canto la mia inutilità, che è più inutile di un cavatappi, molto più inutile di una scala o di un chilo di sale.

Sono felice per il rumore dell’orologio sul muro della cucina nel silenzio.

Perderò sempre, a tutti i giochi di società, per distrazione, per non essermi impegnata con sufficiente serietà.

A cinque anni, per farmi le unghie da strega ho infilato in un dito una digitale dove c’era un’ape.